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Memorie collettive e Comunità inclusive

Home Memorie collettive e Comunità inclusive La costruzione di comunità inclusive rivolte alla formazione di cittadinanza attiva in contesti educativi si richiama in maniera diretta alle molteplici riflessioni offerte da Zygmunt Bauman: da molto tempo, il sociologo polacco ha messo in guardia circa i processi in atto a livello globale, volti alla costruzione di società liquide (2011) e sempre più individualizzate (2010). La spinta verso l’individualismo ha assunto la forma ancor più concreta di un’emergenza internazionale, se la solitudine e la mancanza di relazioni sociali che ne derivano, hanno preoccupato sia l’Organizzazione Mondiale della Sanità che la Commissione europea. La prima ha recentemente dato vita ad una specifica commissione per la coesione sociale intesa come elemento per la difesa della salute pubblica, la seconda ha pubblicato (dicembre 2023) lo studio condotto dal Joint Research Center sulla solitudine e la mancanza di coesione in Europa: l’Italia si rivela uno dei Paesi europei in cui i cittadini sono più soli e con minori relazioni sociali, anche tra le generazioni più giovani[1].    L’elemento della solitudine può riconnettersi all’ambito dell’intervento educativo e storico-educativo in particolare, attraverso il lavoro didattico sulle memorie. Le prime riflessioni pedagogiche in quest’ambito si devono a Duccio Demetrio e all’intuizione espressa nel suo volume dedicato alla Pedagogia della Memoria (1999), intesa come uno strumento di cura, tesa tra biografie ed autobiografie.  Nell’ambito storico-educativo la memoria è diventata soltanto di recente oggetto di studio, grazie alle ricerche pionieristiche promosse all’inizio del Millennio in Spagna e in America latina, fino ad arrivare al fondamentale snodo del convegno di Siviglia del 2015 (Yanes-Cabrera, Meda, Viñao 2017) che ha dato solide fondamenta anche al filone italiano. Per tornare a connettersi all’esperienza di formazione docenti cui intende fare riferimento il presente contributo, è necessario ripercorrere alcuni riferimenti teorici che mettono in relazione le memorie individuali e collettive con la costruzione di comunità. Lo storico Yuval Noah Harari ha individuato nella capacità di narrazione umana (prima orale e poi scritta), uno degli elementi fondamentali che ha caratterizzato la specie Homo Sapiens (2017) e che l’ha resa capace di relazionarsi sul terreno del pensiero astratto: le società e i gruppi tessono contatti attraverso valori, ideali, idee che si consolidano come racconto collettivo e che permettono loro di riconoscersi e di collaborare. Il processo del ricordare in ambito sociale, così come definito da Maurice Halbwachs (2024), è caratterizzato da un percorso che prende forma nello scorrere del tempo e che giunge a definire quadri sociali di memoria collettiva costituiti da quei ricordi che un gruppo seleziona e decide di mantenere al centro delle proprie narrazioni, mentre opera uno scarto di ciò che intende dimenticare. È in questo processo che l’utilizzo delle memorie collettive diventa strumento didattico di contrasto all’individualismo e alla solitudine. Una base teorica che si traduce in metodologia utile all’aggiornamento dei docenti. [1] https://joint-research-centre.ec.europa.eu/scientific-activities-z/survey-methods-and-analysis-centre-smac/loneliness_en (Ultimo accesso: ottobre 2024).

Pedagogia del Riconoscimento

Home Pedagogia del Riconoscimento Le minoranze presenti in una nazione possono frequentemente aver vissuto esperienze di svalutazione della propria storia comunitaria che, se mantenute silenti o silenziate in nome della supremazia del carattere nazionale, possono condurre a reazioni oppositive. La Pedagogia del riconoscimento può diventare uno strumento in grado d’elaborare processi formativi, a partire dal recupero di vicende passate. Per chiarire l’approccio legato al concetto di riconoscimento, è utile fare riferimento a quanto sperimentato dalla storica Elke Gryglewski (2013), oggi amministratrice delegata della Fondazione Memoriali della Bassa Sassonia e responsabile del Memoriale di Bergen-Belsen: nella sua attività formativa svolta presso il Gedenk und Bildungsstätte Haus der Wannsee-Konferenz (Centro educativo e memoriale della Conferenza di Wannsee)[1]. Gryglewski ha organizzato esperienze educative rivolte ai giovani berlinesi: tra i fruitori delle opportunità formative c’erano anche ragazze e ragazzi di origine arabo-palestinese e turca per i quali non risultava affatto scontata né immediata la percezione di alcuni eventi storici, come elementi fondanti nella costruzione delle democrazie del secondo dopoguerra (si pensi ad esempio al valore simbolico che la conoscenza della Shoah ebraica ha assunto nel contesto tedesco ed europeo rispetto al contesto Mediorientale). Per le minoranze, l’avvicinamento alla storia e alla memoria pubblica elaborata dalle maggioranze può assumere l’aspetto di un’imposizione che cancella ed emargina il proprio racconto del passato e può rischiare di produrre conflitti. Pedagogia del riconoscimento significa, per prima cosa, la costruzione di uno spazio comune (materiale e immateriale) di narrazione nel quale possa avvenire l’ascolto del narrare e del narrarsi (un patrimonio culturale da rielaborare nella relazionalità): un contesto di confronto che può essere costruito proprio attraverso la scuola e che si apre alle relazioni interne ed esterne alle classi e all’intero istituto. [1] Il Gedenk und Bildungsstätte Haus der Wannsee-Konferenz è situato nella villa di Wannsee dove, nel gennaio 1942, si tenne la conferenza di Wannsee durante la quale i nazisti conteggiarono gli ebrei d’Europa definendone lo sterminio fisico per motivi di razza. In quello stesso sito sorge oggi un centro per l’educazione ai temi della storia e memoria del Novecento. URL: https://www.ghwk.de/de/ (Ultimo accesso: ottobre 2024).